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Patologie, Terapia dietetica

Epilessia idiopatica canina: l'alimentazione può far parte della terapia?.


mercoledì 13 gennaio 2021


Epilessia idiopatica canina: l'alimentazione può far parte della terapia?

L'epilessia idiopatica è una patologia cronica, non progressiva, caratterizzata da crisi epilettiche non attribuibili ad anomalie neurologiche specifiche. Nell'uomo e nel cane l'epilessia rappresenta la malattia neurologica cronica più comune e la prevalenza nella specie canina è stata stimata intorno all'1-2%. La sua classificazione, nel cane, origina principalmente dalla classificazione utilizzata nell'uomo che è stata modificata nel 2010 dall'International League Against Epilepsy

La precedente classificazione divideva questa patologia in tre categorie: l'epilessia primaria idiopatica (dovuta a disturbi funzionali cerebrali per cui non si riconoscono cause diverse da una possibile predisposizione genetica), l'epilessia secondaria (la cui causa sottostante è riferibile a lesioni encefaliche acquisite o a patologie metaboliche) e una forma definita epilessia criptogenica in cui si sospetta una causa sottostante di tipo strutturale ma che non è ancora stata identificata.

La nuova classificazione ha modificato questa nomenclatura definendo tre nuove categorie che vanno a sostituire le precedenti: epilessia genetica, epilessia strutturale/metabolica ed epilessia di origine sconosciuta. Questa classificazione è stata oggetto di vivaci discussioni, sia in medicina umana che veterinaria, e non ha ancora avuto un consenso unanime nel suo utilizzo, infatti, ancora oggi, nel linguaggio comune il termine di "epilessia idiopatica" è ancora ben radicato ed utilizzato.

L'epilessia idiopatica o genetica è la forma che colpisce più comunemente la specie canina e, nonostante i numerosi studi effettuati, non si è ancora arrivati a comprendere quali siano i meccanismi che causano le crisi epilettiche.

Di conseguenza i protocolli terapeutici utilizzati fino ad ora sono diretti al controllo delle crisi attraverso la somministrazione cronica di farmaci antiepilettici piuttosto che alla prevenzione dell'epilettogenesi.

Tuttavia, nonostante l'utilizzo di farmaci antiepilettici appropriati, circa un terzo dei cani, e degli esseri umani, risulta refrattario al trattamento e continua a manifestare convulsioni difficili da gestire anche dopo regolare assunzione della terapia. Pertanto, si è alla continua ricerca di trattamenti non farmacologici che possano ridurre la sintomatologia in questo tipo di pazienti.

In medicina umana tra le nuove strategie studiate rientra l'utilizzo di diete chetogenetiche, ossia diete caratterizzate da un alto contenuto di grassi, proteine adeguate e basso contenuto di carboidrati. Generalmente esse hanno un rapporto tra grassi e carboidrati + proteine di 4:1 o 3:1 e forniscono solo il 75-80% di quello che dovrebbe essere il fabbisogno calorico giornaliero del soggetto, cercando di riprodurre la chetosi creata dalla fame. Il grasso proviene tipicamente da olii vegetali (con acidi grassi a lunga catena) o di origine animale (con acidi grassi saturi). Tuttavia, si è studiato anche un tipo alternativo di dieta chetogenetica che include l'utilizzo di trigliceridi a catena media. Questo tipo di trigliceridi risulta più chetogenico rispetto agli altri acidi grassi polinsaturi a lunga catena e il suo utilizzo consente di far assumere ai pazienti più carboidrati, portando il rapporto tra grassi e combinazione di proteine e carboidrati nella dieta ad un valore intorno al 2,5:1.

Questo tipo di dieta, associata alla terapia farmacologica standard, ha ottenuto numerosi benefici nell'uomo e nei bambini affetti da epilessia idiopatica refrattaria. Infatti, un terzo dei pazienti ha avuto una riduzione della frequenza delle crisi convulsive del 90% e un terzo una riduzione dal 50 al 90%. Tuttavia, non si è ancora capito il preciso meccanismo d'azione con cui agisce questa dieta. Tra le ipotesi proposte fino ad ora rientrano un'alterazione del metabolismo energetico del cervello dovuto all'elevata concentrazione di corpi chetonici che si formano in seguito all'assunzione di una dieta chetogenetica, l'inibizione della produzione di radicali liberi provenienti dall'ossidazione dell'ossigeno e la diminuzione del PH cerebrale.

Inoltre, i corpi chetonici potrebbero anche influenzare le concentrazioni e le funzioni dei neurotrasmettitori nonché la loro attività recettoriale.

In ogni caso le diete chetogenetiche sono diete estremamente restrittive e con molteplici potenziali effetti avversi e complicazioni, tra cui carenze di nutrienti essenziali (ad esempio ipomagnesiemia, osteopenia da ipovitaminosi D o carenza di proteine) e di conseguenza vengono utilizzate solo in pazienti con epilessia grave che non rispondono al trattamento farmacologico tradizionale. Inoltre, la ricerca si sta focalizzando sul possibile utilizzo di interventi dietetici alternativi meno restrittivi delle diete chetogeniche standard.

In medicina veterinaria, gli studi sul possibile effetto benefico di diete chetogeniche in animali affetti da epilessia idiopatica refrattaria sono pressoché nulli e la reale efficacia di questo tipo di diete nei pazienti canini rimane sconosciuta.

Ad oggi, nei cani sono stati effettuati solo due studi sul suo utilizzo, con risultati discordanti. Nel primo studio effettuato da Patterson nel 2005 i cani che avevano ricevuto, per un periodo di sei mesi, un cibo chetogenetico con le caratteristiche delle diete utilizzate in medicina umana, non avevano avuto un miglioramento significativo nella frequenza delle crisi epilettiche, nonostante l'aumento dei livelli sierici di β-idrossibutirrato.

In uno secondo studio più recente di Pagani et al, invece, la maggior parte dei soggetti che riceveva una dieta chetogenetica con l'inclusione di trigliceridi a media catena e l'assunzione del 60% di kcal rispetto al loro fabbisogno energetico aveva una frequenza di crisi significativamente inferiori rispetto a prima. Questo farebbe pensare che nei cani epilettici la sostituzione dei trigliceridi a catena lunga con quelli a catena media in una dieta chetogenica possa fare la differenza nell'ottenere gli effetti desiderati, tuttavia, servono ulteriori studi per poter confermare questa ipotesi.

Nonostante l'assenza di evidenze scientifiche, in cani con epilessia refrattaria alla terapia farmacologica, può aver senso pensare di iniziare una dieta "simil-chetogenica" nella speranza di ridurre la frequenza delle crisi epilettiche, soprattutto considerato che attualmente, molti cani con epilessia refrattaria vengono alla fine sottoposti a eutanasia o muoiono durante convulsioni incontrollabili.

Il piano nutrizionale, però, deve essere studiato con molta attenzione per ridurre al minimo i rischi legati a questo tipo di dieta. Oltre ai possibili deficit di micronutrienti, bisogna tenere in considerazioni che le diete chetogenetiche sono ricche di grassi e che quelle utilizzate in medicina umana arrivano a fornire 80-90% dell'energia con i lipidi. Questo tipo di dieta, somministrata ad un cane, può essere fonte di preoccupazione per l'ipertrigliceridemia, già indotta dall'utilizzo di fenobarbitale come trattamento per l'epilessia, e che in alcuni soggetti può aumentare i rischi di sviluppo di pancreatite, specialmente in cani con altri fattori di rischio pre-esistenti come l'obesità.

Ad oggi, non esiste alcuna linea guida su come preparare un piano nutrizionale per un cane affetto da epilessia idiopatica ma, se si decide di prepararne uno, è fondamentale fare alcune considerazioni e prendere alcune precauzioni.

Qui di seguito proponiamo qualche spunto di riflessione:
- Valutare se, seguendo le linee guida delle diete umane, ha senso somministrare una minor quantità di kcal rispetto al fabbisogno energetico dell'animale, mantenendosi intorno al 60-70% di esso.
- Decidere quale rapporto lipidi: proteine+carboidrati deve avere la dieta, cercando di mantenerlo il più basso possibile, ad esempio facendo in modo che le kcal somministrate con i lipidi superino di poco le kcal somministrate con la somma di proteine e carboidrati.
- Prediligere la somministrazione di lipidi sottoforma di acidi grassi a media catena, somministrando ad esempio MCT oil o olio di cocco. Assicurandosi, però, di soddisfare il fabbisogno minimo di acido linoleico indicato da FEDIAF. In ogni caso, i lipidi andrebbero introdotti gradualmente per valutare i possibili effetti secondari di una loro elevata assunzione nel paziente.
- Scegliere fonti proteiche ad elevato valori biologico e ad elevata digeribilità, controllando di non scendere sotto i livelli minimi indicati da FEDIAF.
- Ridurre al minimo, se non eliminare totalmente, i carboidrati presenti nella dieta, soprattutto quelli semplici.
- Considerare l'aggiunta di integratori funzionali come antiossidanti, CBD e omega 3.
- Tenere strettamente monitorato il paziente, dopo l'inizio della dieta, e controllare frequentemente anche la fenobarbitalemia, soprattutto considerando che una dieta ricca di grassi può favorire l'assorbimento di questo farmaco a livello intestinale.

Infine, per quanto scontato, è bene ricordare che la dieta deve soddisfare sempre i fabbisogni minimi e massimi indicati da FEDIAF.

BIBLIOGRAFIA:
- Gandini G. L'epilessia del cane: un moderno approccio clinico e terapeutico parte I: definizione, classificazione, patogenesi, approccio clinico. Veterinaria, Anno 29, n°1, Febbraio 2015
- Larsen J.A., Owens T.J., Fascetti A.J., Nutritional management of idiopathic epilepsy in dogs. JAVMA, Vol 245, No. 5, September 1, 2014
- Law TH, Davies ES, Pan Y, Zanghi B, Want E, Volk HA. A randomised trial of a mediumchain TAG diet as treatment for dogs with idiopathic epilepsy. Br J Nutr. 2015 Nov 14;114(9):1438-47.
- Packer R.M.A., Law T.H. et al. Effects of a ketogenic diet on ADHD-like behavior in dogs with idiopathic epilepsy.  Epilepsy & Behavior 55 (2016) 62–68
- Pagani E, SivieroT, Prola L. Ketogenic diet for dogs with refractory epilepsy. Abstract ESVCN Congress Proceeding 2014– Utrecth (NL)
- Patterson E.E., Muñana K.K., Kirk C.A., Lowry S.R., Armstrong P.J.: Results of a ketogenic food trial for dogs with idiopathic epilepsy. Journal of Veterinary Internal Medicine 2005;19:421.


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